Intervista a Italia Uruguay

Abbiamo contattato Matteo Forciniti e David Napodano, giovani italiani residenti a Montevideo e titolari del sito Italia Uruguay, nuestro Norte es el Sur.

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Il loro interessantissimo spazio web è al tempo stesso un genuino spot per l’Uruguay e un vero punto di riferimento per tutti gli italiani che volessero visitare questo paese iniziando a farsene un’idea prima di partire. Offre infatti numerosi approfondimenti e notizie di attualità che coprono ogni ambito.

Fra gli argomenti trattati c’è anche il calcio locale, il che già di per sé ci ha incuriositi. Considerando poi che David è tifoso del Nacional e Matteo del Peñarol, la cosa si fa ancora più interessante.

David, Matteo, da quanto tempo vivete in Uruguay?

David – Due anni e mezzo. Sono ancora un neofita!

Matteo – Quattro anni. Cavolo come passa il tempo! Entrambi dopo un viaggio in giro per il Sud America abbiamo scelto Montevideo per fermarci.

E’ evidente che siete appassionati di calcio, e credo che vi si possa definire dei tifosi molto particolari non essendo uruguaiani. Si può dire che legarvi a una squadra locale abbia contribuito al vostro inserimento? Si è trattato di una scelta ponderata o la passione è nata spontaneamente?

D – Anche se napoletano non sono mai stato assiduo seguitore di calcio, ma qui è diverso. Il futbol fa parte dell’essenza stessa dell’Uruguay. Non importa se grandi o piccini, se uomini o donne, magari il mondo non gira ma la “pelota” girerà sempre.
Fu quasi per caso e attraverso amici che fui a vedere il primo “clasico” tra Peñarol e Nacional, non ero a Montevideo da nemmeno due settimane e praticamente chiunque in città sfoggiava i colori dell’una o dell’altra squadra. Ma la vera rivelazione fu entrare nello stadio centenario e sentire gli spalti vibrare per i cori ed i salti, i boati ad ogni gol segnato ma soprattutto tifosi del Nacional che fino all’ultimo secondo, nonostante sotto di 3 gol, non smisero mai di esultare ed incitare i propri idoli… Fu questo momento di passione romantica e quasi sconsiderata, questo festeggiare l’evento calcio in se, nonostante la sconfitta, ad avvicinarmi definitivamente al club dei “bolsos”.
Legarsi ad una squadra oserei dire che è stato un processo involontario, una tappa obbligatoria per chi si stabilisce nel paese, un qualcosa in cui ti trovi piacevolmente immerso e che ti fa scoprire le emozioni più autentiche del vero Uruguaiano, nel bene e nel male.

M – Diciamo che l’Uruguay ti aiuta a tirare fuori quella passione genuina che avevi da adolescente e che per vari motivi avevi un po’ messo da parte nella tua vita.
Qui il calcio si respira nell’aria, scandisce i ritmi di vita delle persone e svolge un ruolo fondamentale nelle relazioni sociali tra le persone, dato che tutti ne parlano e sanno praticamente tutto.
Io mi sono inserito bene nella società in generale. Non certo grazie al Peñarol, che mi ha comunque aiutato regalandomi emozioni indimenticabili.
Se parliamo di calcio in Uruguay mi sento costretto però ad aggiungere anche un’altra cosa senza voler fare polemica gratuita da intellettuale snob spocchioso che odia l’attrazione della massa. Il tifo è una bella cosa, verissimo ma questo a volte corre il rischio di degenerare. È un problema culturale, e non parlo solo della violenza negli stadi.
A volte -e sottolineo a volte, perché dipende sempre con chi ti relazioni- il calcio diventa l’argomento monotematico delle conversazioni. Adoro questo sport ma francamente mi rompo le palle a reggere situazioni del genere, dove un’intera serata gira intorno al calcio. Il problema si ha quando il tifo si trasforma in dogma, in religione e diventa l’oppio del popolo. L’Uruguay è un paese praticamente ateo che non crede in dio ma molti vedono nei calciatori delle semi-divinità. Ecco perché credo che ci sia bisogno di equilibrio.

Cosa ravvisate di particolare, diciamo distintivo, nella vostra squadra? La seguite in base a un’identificazione o per una semplice simpatia a pelle?

D – Come credo sia normale per qualsiasi straniero, la scelta di una squadra è qualcosa di istintivo, non legata né a condizioni territoriali né familiari, semplicemente qualcosa di empatico… Ma nel mio caso c’è un motivo in più, anche se futile: credo che la maglia del Peñarol ricordi troppo le linee ed i colori della mia Juve Stabia (squadra di Castellammare di Stabia dove sono cresciuto), non sarei mai stato capace di scegliere un team dai colori simili, la squadra del cuore è e sarà sempre unica, anche prima del Napoli!

M – La prima conoscenza del Peñarol (e dunque dell’Uruguay) l’ho avuta da bambino leggendo l’album di figurine con le carriere di Paolo Montero e Zalayeta. Poi ho avuto la fortuna di avere il mio primo amico uruguaiano che è un tifoso sfegatato e va sempre allo stadio e mi ha portato con lui, nel cuore del tifo della curva la “Barra Amsterdam”. Lì ho trovato alcune risposte alle mie curiosità, uno stupore meraviglioso di fronte alle infinite manifestazioni di spettacolo di un popolo in festa. La mia è stata un’identificazione spontanea con la squadra del pueblo.

Come vivete il vostro tifo? Andate allo stadio? Siete in contatto con qualche esponente della vostra squadra o qualcuno che ha comunque a che farci?

D – Amo guardare le partite alla tele con amici, anche e soprattutto dell’altra fazione, tra di loro ci sono persone che hanno lavorato o che lavorano in vari settori di Peñarol e Nacional. Proprio per questo c’è più gusto guardare la partita con loro, sentire i retroscena, gli screzi, gli sfottò e le derisioni, da buon napoletano, dell’ avversario che subisce le critiche e ne esce sconfitto… Vero Matteo?

M – Preferisco andare allo stadio solo nelle competizioni internazionali perché l’atmosfera si fa incandescente.
A proposito, ad ogni straniero dico sempre di andare allo stadio a vedere il Peñarol per conoscere davvero l’Uruguay ed assistere a uno spettacolo meraviglioso.

Cosa distingue il calcio uruguaiano da quello italiano? Mettendo a confronto le due realtà, cos’ha di meglio e cosa magari gli manca?

D – Da italiani possiamo pensare che nel nostro paese si dia troppa importanza al calcio… Beh chi lo dice non ha mai visto l’Uruguay. Il paese si ferma letteralmente quando gioca la nazionale, non si lavora, non si trovano taxi né autobus disponibili, senza parlare di quel che succede durante i mondiali (e noi eravamo purtroppo tristemente presenti). Il calcio è argomento di conversazione costante, diventando persino letteratura in uno dei migliori libri di Galeano.

M – In Uruguay si gioca con il cuore e per la maglia. Il contesto ti porta a maturare prima perché se hai un minimo di potenziale di spediscono dall’altra parte del mondo poco più che ragazzino. L’altra faccia della medaglia è che non ci sono soldi e questo dice tutto. Il ritmo è lento, il livello tecnico è abbastanza basso ma encomiabile è la passione e lo spirito di sacrificio: una lotta.

Trovate che ci sia una qualsiasi affinità fra la squadra che tifate qui e quella che seguite in Italia? Ricordiamo che David è del Napoli e Matteo della Juventus.

D – Anche se non si può generalizzare vedo che il Napoli negli ultimi anni si è avvicinato molto ad uno stile di gioco più sudamericano, e questo mi piace. Molto lo dobbiamo proprio ad un uruguaiano, Cavani, che ha segnato il cambio tra il vecchio ed il nuovo Napoli, lottando sempre, sia in attacco che in difesa, fino all’ ultimo secondo. Non mi importa che si vinca o che si perda quando c’è un bello spettacolo. Odio invece il catenaccio comune alle due nazionali, troppa sofferenza, anche se devo ammettere che spesso da i suoi risultati.

M – Le affinità ce le creiamo noi sapendo di mentirci. Non credo che si possano comparare due contesti totalmente distinti.

Qual è l’episodio calcistico più importante che ricordate di aver vissuto qui?

D – Dolorosissima partita Italia-Uruguay degli scorsi mondiali di calcio valevole per passaggio agli ottavi… Eravamo da Matteo al sedicesimo piano, televisione uruguaiana senz’ audio e la voce di Caressa che arriva in streaming dopo un paio di secondi, per sentirci un po’ più italiani… Al gol di Godin è praticamente esplosa la città ai nostri piedi. Il momento in cui mi sono sentito più lontano da casa.

M – L’episodio più positivo. Semifinale della Libertadores 2011. II Peñarol entra in campo ed iniziano fuochi di artificio, fumogeni e quant’altro. Una festa collettiva pazzesca nel “recibimiento” della squadra, un’iniezione di adrenalina pura. Durante 20 minuti (vedere su youtube per credere) tutto lo stadio diventa una gigantesca nube accompagnata dai cori. Emozioni goliardiche. Brividi memorabili da scolpire nel cuore.

Come vi ponete rispetto alla Celeste? La tifate o rimanete degli irriducibili italiani se si tratta di Nazionale?

D – Dipende sempre dagli umori e dalle partite… Sicuramente la nostra Nazionale, seppur dolente, ha sempre un posto in prima fila nel cuore, ma mi piace guardare la Celeste soprattutto per Cavani e per quanto ha dato al nostro Napoli, anche se qui non sembra lo apprezzino poi così tanto.
Suarez invece proprio non lo sopporto!!!

M – Brutta domanda, alla luce delle sofferenze vissute agli ultimi mondiali. (Tra l’altro ci siamo chiusi in casa noi due da soli a vedere la partita ed è stato orribile! Il giorno più brutto in Uruguay). La nazionale dell’Uruguay, comunque, è la più alta espressione di questo paese, un vero e proprio miracolo se vediamo la sua storia.

In un vostro articolo ricordate come storicamente i discendenti spagnoli tifino di massima il Nacional mentre quelli italiani il Peñarol. In base alla vostra esperienza odierna, immaginando che siate in contatto con diverse comunità di immigrati, potete confermare questo dato? Potete poi spiegare le ragioni di tale tendenza, che si sia mantenuta o no nel tempo?

D – C’è sicuramente ancora oggi una forte differenza sociale (e probabilmente anche politica) tra le due società calcistiche. Tuttavia credo che sia una cosa che col tempo andrà sempre più scemando, dovuto al “Melting Pot” che anche nella “immutabile” Uruguay si sta verificando. Ne sono un esempio concreto io, immigrato italiano eppur tifoso del Nacional.

M – “Il Peñarol è l’espressione sociologica dell’Uruguay che si costruisce con l’immigrazione” mi ha detto una volta l’ex presidente Sanguinetti in un’intervista. Verissimo, confermato anche dalle posizioni razziste nei primi anni di vita del Nacional che si definiva come la squadra criolla. Oggigiorno però le cose sono cambiate. L’emigrazione si è esaurita e questo appartiene al passato. Comunque ricordarlo ogni tanto fa bene.

Matteo, quanto dici mi fa pensare all’affiliazione del Nacional alla lega calcistica uruguaiana che non fu immediata in quanto inizialmente avversata dai club di origine straniera (fra cui il CURCC/Peñarol) già membri. Il razzismo di marca tricolor a cui ti riferisci fu dunque una reazione a questo ostracismo o piuttosto la sua causa?

M – L’unica cosa che ti posso dire è che il Nacional è nato come squadra criolla, nazionale per differenziarsi proprio da quella degli immigrati, degli stranieri. Se non sbaglio è stato il primo o tra i primi Nacional nel calcio in America.
Ci sarebbe poi da fare anche un discorso sulla questione di classe, dato che il Nacional è nato tra gli universitari mentre il Peñarol invece tra i lavoratori.
Quindi oltre alla questione etnica entra in gioco anche la questione classista.
Questi due fattori comunque sono gradualmente scomparsi a partire dagli anni Venti.

Grazie ragazzi, siete stati molto gentili.

About andreaciprandi

Mi chiamo Andrea A. Ciprandi e sono italiano. Nel corso degli anni ho seguito sia il calcio inglese che quello sudamericano, mentre ultimamente mi sto dedicando in particolare a quello argentino promuovendo iniziative divulgative a riguardo. Faccio parte del Departamento de Relaciones Internacionales del Racing Club di Avellaneda. Fra le collaborazioni più recenti, quella con il Club Atlético Boca Juniors e i Revisionistas Históricos del Fútbol Argentino, gruppo di ricercatori che si dedica fra l'altro alla corretta compilazione delle statistiche del calcio locale a partire da quelle dipendenti dall'equiparazione dei titoli del dilettantismo a quelli del professionismo (riconosciuta dall'AFA ma per lungo tempo negata dalla gran parte dei mezzi d'informazione e di conseguenza anche degli appassionati). In passato ho ideato, inaugurato e curato per alcuni anni il blog italiano di Riverplate.com, sito argentino fra i più popolari del Sud America. Sono titolare di RACINGCLUBITALIA.WORDPRESS.COM e CARBOLSO.WORDPRESS.COM, i primi siti interamente in italiano dedicati rispettivamente al Racing Club di Avellaneda e alla storia di Nacional e Peñarol, di PILLOLEARGENTINE.WORDPRESS.COM che invece fra il 2013 e il 2017 ha offerto notizie in breve e approfondimenti storici sul calcio argentino, e di ANDREACIPRANDI.WORDPRESS.COM in cui invece fino al 2016 ho raccolto tutti i miei articoli con la sola eccezione di quelli di Pillole Argentine, Racing Italia e Carbolso per cui prevedevo una semplice selezione. Calciostruzzo e Calciotradotto (da cui Calciomercato.com ha attinto alcuni articoli) sono stati invece i miei primi spazi personali online. Ho scritto inoltre su Gianlucarossi.it occupandomi prevalentemente di calcio internazionale e FC Inter News per le notizie dall'Argentina. Sempre in passato ho scritto anche per Toro News, Vavel.com di Madrid, Canal Fluminense e Comunità Italiana di Rio de Janeiro, World Striker di New York, la free-press San Siro Calcio, Sportmain.it, Magic Football, Calcioargentino.com e Giornalismo2012. Infine ho commentato il calcio estero per Radio Sportiva e saltuariamente intervengo su Telelombardia/Antenna3 per parlare di quello argentino. Se desiderate contattarmi, fatelo scrivendomi ad andrea.ciprandi@gmail.com o su Twitter @andreaciprandi. Vi risponderò con piacere.
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